Fonte: Repubblica.it Bologna
«Il settore pubblico in questi anni ha drogato le imprese costruttrici per un senso di comodo, per avere consenso, per ottenere voti. Abbiamo fatto piani urbanistici che decantavano riqualificazione, rigenerazione urbana, poco consumo del territorio. E invece poi la capacità edificatoria veniva aumentata, si facevano varianti su varianti. La colpa è di tutti, è anche mia, che alla fine quelle varianti le approvavo. Avrei dovuto dimettermi, ma ci tenevo troppo al piano paesistico». Felicia Bottino, architetto, per dieci anni assessore all’urbanistica della Regione Emilia-Romagna, entra a gamba tesa nel dibattito sulla riqualificazione mancata della città. Con un’autocritica, un po’ di (impietosa) memoria storica e qualche consiglio.
Partiamo dall’inizio. Dai favolosi anni Ottanta, quando il mercato del mattone macinava a pieno ritmo e le ruspe scavavano felici. Costruire era facile e vendere ancor di più, i palazzoni crescevano un po’ ovunque, e non restavano vuoti. «Io non volevo dirlo — ride la Bottino — , ma la speculazione è finita perché il mercato è bloccato. Speculare non si può più, anche volendo». Il riferimento è al collega Mario Cucinella, che nei giorni scorsi aveva invitato la città a «smetterla con la speculazione». Scelta ormai forzata, dice la Bottino. «Poi, sulle ricette sono d’accordo con Mario: bisogna puntare sulla riqualificazione energetica, fare un salto di qualità, creare piazze, teatri, auditorium. La verità è che in tanti anni non siamo riusciti a costruire quartieri che abbiano un decimo della qualità del centro storico: quello, almeno, siamo riusciti a preservarlo. Ma è possibile che in via Stalingrado non siamo stati capaci di costruire una piazza?».
Proprio lì, avrebbe dovuto sorgere un nuovo pezzo di città. L’idea era espandere il quadrante nord di Bologna verso Ferrara, attorno al nuovo quartiere fieristico e oltre, secondo la visione di Kenzo Tange. «Io penso che Tange avesse un’idea di futuro, giusta o sbagliata. E un piano sarebbe servito, piuttosto che l’espansione a macchia di leopardo poi avvenuta — prosegue la Bottino — . Fare crescere Bologna verso Ferrara sarebbe stato utile alle due fiere. Io avrei spostato lì anche la zona universitaria, evitando la proliferazione di sedi decentrate cui mi opposi. E’ stato uno spreco di risorse e di soldi».
Permesso dopo permesso, si arriva al piano regolatore dell’85-89. «Io non ho problemi ora a criticare quel piano — spiega la Bottino — , perché mossi osservazioni che sono agli atti. Poi certo faccio autocritica, mi ci metto anch’io. Avrei dovuto dimettermi». Vi si prevedeva uno scambio mattoneverde, la città compatta, la famosa fascia boscata che non arrivò mai. «L’idea era che si urbanizzava di più dentro, ma in cambio si costruiva una zona boschiva lungo la tangenziale. Solo che l’area boscata non è mai diventata realtà». Si gettavano le premesse per la speculazione che sarebbe arrivata dopo.
Adesso a fermare le ruspe ci ha pensato la crisi edilizia, che ha colto le imprese del settore impreparate. Strano? Niente affatto. «Le ditte costruttrici non hanno avuto la possibilità di crescere, di inventare nuove strade, come qualità sono rimaste arretrate. Non sono state costrette a cambiare, confrontandosi in una competizione europea». Questo perché «i Comuni, le province volevano avere mano libera». E le pressioni sull’urbanistica erano (erano?) parecchie. «Me lo ricordo ancora quando vincolai le aree attorno via Stalingrado… «. Il consiglio alla fine è doppio. «Riqualificare. A partire dalle scuole, che erano il nostro fiore all’occhiello». E poi: «Basta con la logica della variante continua, serve una visione». Quella la cercano entrambe, politica e urbanistica, una coppia di ferro.