Difendere il Parmigiano-Reggiano per tutelare la campagna e l’agroalimentare della regione
Cemento, contraffazioni, industrializzazione, i nemici di un prodotto di punta del settore agricolo che fa bene anche all’ambiente
“Serve maggiore cura da parte di istituzione e del Consorzio per non dilapidare questo patrimonio”
Il Parmigiano-Reggiano è uno dei prodotti agroalimentari di punta della nostra regione, che ha permesso nel tempo di garantire reddito all’agricoltura troppo spesso esposta alle fluttuazioni del mercato e si è sempre caratterizzato (a cominciare dal nome) come biglietto da visita della qualità dei prodotti tipici regionali e nazionale nel mondo. La presenza storica del Parmigiano-Reggiano nel territorio emiliano ha inoltre un importante valore ambientale, che si manifesta nella permanenza dei prati stabili, tipologia di coltura in cui la biodiversità è altissima a cominciare dalle numerose specie di uccelli presenti, e in cui è più alta la capacità di assorbire carbonio e difesa delle falde.
Un vero e proprio “tesoro” economico culturale ed ambientale, spesso trattato con disattenzione ed incuria dalle istituzioni, quando non dagli stessi operatori del settore.
Le vicende di cronaca degli ultimi giorni, che hanno richiamato alla ribalta il fatto che il Parmigiano-Reggiano sia il prodotto agroindustriale italiano più contraffatto, sottolineano come il prodotto simbolo dell’agroalimentare di qualità di questa regione abbia molti nemici.
Se a livello comunitario le grandi lobby del food impediscono una seria politica sulla tracciabilità e l’origine dei prodotti tipici, gli sforzi a livello nazionale devono essere sicuramente più fermi nel difendere il made in Italy. Purtroppo nemmeno in terra emiliana sembriamo immuni da queste derive. È del mese di gennaio l’interrogazione di un parlamentare parmense riguardo la richiesta di una società con sede a Reggio Emilia di poter realizzare un magazzino di stagionatura per 600.000 forme di parmigiano reggiano. Il dubbio era quello che le dimensioni dell’intervento, fuori scala rispetto ai fabbisogni territoriali, andassero nella direzione di industrializzare troppo una produzione che ancora conta sulle piccole imprese, aprendo le maglie a ingressi di prodotti simil-grana.
Ma il primo tra tutti i nemici di questo prodotto tipico è sicuramente il cemento: è paradossale che nelle province di Parma e Reggio, culla del formaggio, la cementificazione della campagna sia andata avanti negli ultimi decenni a ritmi elevatissimi con una miopia politica disarmante. Solo poche parti di queste province hanno mantenuto un paesaggio rurale degno di questo nome, ma in buona parte la terra del “re dei formaggi” è martoriata da capannoni, villette sparse nella campagna, strade, rotonde e svincoli.
Un’economia speculativa fondata sui cambi di retini urbanistici e destinazioni d’uso, che poco alla volta ha fagocitato il substrato di un’economia sana basata sulla produzione di materie prime di qualità e prodotti tradizionali.
Suona una beffa che due delle cinque autostrade previste in regione passino letteralmente nel “giardino di casa” di produttori e allevatori afferenti al consorzio: la TI-BRE nel Parmense, e la Cispadana nelle province tra Reggio e Ferrara. A Novi, uno dei principali caseifici del modenese verrà letteralmente scavalcato da un cavalcavia dell’autostrada.
Purtroppo, mai una voce si è sollevata da parte del Consorzio su questo lento stillicidio.
Infine è necessario aumentare la trasparenza sulla presenza di OGM nei mangimi non prodotti in azienda su cui non si è mai andati fino in fondo. Dopo il recente episodio delle semine di mais transgenico Mon810 in Friuli, va ribadito che la presenza di Ogm nei prodotti di qualità rappresenterebbe un ulteriore danno per l’immagine di eccellenza del cibo italiano nel mondo. Su questo il Consorzio del Parmigiano-Reggiano farebbe bene ad introdurre una modifica nel suo disciplinare che preveda l’esclusione obbligatoria degli OGM dai mangimi degli animali allevati dalle aziende che si fregiano del marchio del Consorzio, garantita da opportuni sistemi di tracciabilità.
Va riconosciuto come il Consorzio con la revisione del disciplinare di alimentazione delle vacche abbia rafforzato il legame della produzione con il territorio e la sostenibilità della filiera ma questa battaglia va giocata fino in fondo.
In un periodo in cui si parla spesso di marketing territoriale, il rischio è quello di giocarci il futuro di un settore economico sano ed un presidio alla tutela della campagna di pianura e allo spopolamento in montagna.
«Ricordiamo a tutti gli attori in gioco – afferma Lorenzo Frattini presidente di Legambiente Emilia-Romagna – che la politica ed il Consorzio devono tutelare non solo un valore economico connesso al prodotto, ma anche un patrimonio tradizionale indissolubilmente legato ai territori e alle aziende locali: non si può mantenere il primo lasciando andare il secondo».
Sollecitiamo inoltre le istituzioni regionali e locali a fare propria una battaglia per la difesa della tipicità e della campagna, una battaglia ambientale, sociale e di immagine del nostro territorio.
La produzione del Parmigiano-Reggiano si fonda su un sistema colturale che garantisce alti valori ambientali e paesaggistici che sono riconosciuti; il Parmigiano-Reggiano è giustamente associato nell’immagine e nel marketing con questi valori. Se questi valori sono minacciati, è minacciata in prospettiva la credibilità e l’immagine del Parmigiano stesso.