Dossier Nevediversa 2024
Crisi climatica: su Alpi e Appennini nevica sempre meno e fa sempre più caldo in quota
I dati del dossier Nevediversa 2024 di Legambiente
con la mappatura degli impianti sciistici in difficoltà e un focus sulle Olimpiadi Milano Cortina tra ritardi e opere costose finanziate con un importo superiore a 30 milioni di euro
In Emilia Romagna sono 9 gli impianti dismessi, 6 quelli temporaneamente chiusi, 7 quelli che aprono a singhiozzo
Legambiente: “urgente un cambio di rotta a livello politico e territoriale, più risorse al turismo montano invernale sostenibile e azioni di mitigazione alla crisi climatica accompagnando gli operatori del settore in questo percorso di riconversione”
Report Legambiente —- videoscheda
Manto nevoso sempre più effimero su Alpi e Appennini. Con la crisi climatica e l’aumento delle temperature la montagna cambia volto e colori e al bianco dell’inverno, si alternano sempre più prati verdi e vette con poca neve. Termometro di questa situazione i dati sugli impianti sciistici oggi sempre più in difficoltà tra chiusure e aperture a singhiozzo, i finanziamenti d’oro per l’innevamento artificiale che non accennano a diminuire e il futuro sempre più incerto delle Olimpiadi Milano Cortina 2026 tra ritardi, spese faraoniche e l’incognita neve 2026.
A scattare una fotografia nitida è il nuovo report di Legambiente Nevediversa 2024, i cui dati, tutti in aumento, parlano chiaro: 177 gli impianti temporaneamente chiusi nella Penisola (+39 unità rispetto al report precedente), di cui 92 sull’arco alpino e 85 sull’Appennino. Salgono a 93 gli impianti aperti a singhiozzo (+9 rispetto al report precedente), il grosso, ben 55, si concentra sugli Appennini. Altro dato in crescita è quello delle strutture dismesse che raggiungono quota 260 (erano 249 nel report precedente) di cui 176 sulle Alpi e 84 sulla dorsale appenninica; e quello degli impianti sottoposti al cosiddetto “accanimento terapeutico”, 241 quelli censiti da Legambiente (+33 unità) che sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico. Il grosso, ben 123, sugli Appennini. Dati allarmanti a cui va aggiunta la crescita dei bacini idrici per l’innevamento artificiale: 158 quelli censiti (+16 rispetto al report 2023) di cui la gran parte in questo caso, ben 141, sulle Alpi, e il restante, 17, sulla dorsale appenninica. Sul fronte finanziamenti, per aiutare il settore sono ben 148 i milioni di euro destinati lo scorso anno dal Ministero del Turismo per l’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale a fronte dei soli quattro milioni destinati alla promozione dell’ecoturismo. E se si guarda alle singole regioni si scopre che finanziamenti per la neve artificiale non accennano a diminuire.
In Emilia Romagna
In Emilia-Romagna la stagione 2023/24 è iniziata con 4milioni e 67mila euro stanziati dalla Regione per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve dell’inverno precedente. Legambiente ricorda anche il finanziamento a fondo perduto di 20 milioni di euro per il nuovo impianto di risalita verso il lago Scaffaiolo, un’infrastruttura osteggiata da associazioni e comitati locali. Si tratta di un progetto compreso nell’accordo del 2016 fra Governo, Regione Emilia-Romagna e Regione Toscana per “il sostegno e la promozione congiunta degli impianti sciistici della montagna tosco-emiliano romagnola” che comporterebbe il potenziamento delle stazioni sciistiche a cavallo dell’Appennino fra la Doganaccia (Toscana) e il Corno alle Scale (Emilia) con la costruzione di nuovi impianti a fune su entrambi i versanti e il collegamento con il Comprensorio del Cimone.
Vale la pena ricordare, inoltre, che con DGR n. 1518 del 12/09/2022, la Regione ha messo a disposizione dei gestori privati di impianti di risalita e aree sciabili un finanziamento, per l’anno 2022, un totale di contributi assegnati di € 634.031,00. All’area sciabile di CERRETO LAGHI (società privata TURISMO APPENNINO SRL) sono stati finanziati 21 mila euro per miglioramento impianto
di innevamento. Perché come si legge sulle pagine online dei comprensori stessi, senza la presenza della neve programmata non ci potrebbe essere una continuità di esercizio. Ma a quali costi per la collettività e per l’ambiente? Non dimentichiamoci infatti che la neve programmata è più densa di quella naturale e quindi comporta maggiori difficoltà nel periodo primaverile per la ripresa vegetativa dei terreni; la produzione prevede forti consumi di acqua ed energia e causa un disturbo alla fauna dovuta al rumore dei cannoni sparaneve.
Nessuna risorsa è invece investita per lo smantellamento degli impianti abbandonati e ormai fatiscenti o nella realizzazione di progetti di riuso degli impianti ancora in buono stato.
Legambiente chiede quindi un cambio di rotta a livello politico e territoriale, superando la pratica insostenibile dell’innevamento artificiale, lavorando ad una riconversione degli impianti e puntando ad un turismo invernale più sostenibile, una leva quest’ultima fondamentale come ben raccontano anche le 73 buone pratiche censite nel report. In particolare, l’associazione ambientalista chiede al Governo Meloni che vengano stanziati più fondi per il turismo dolce in quota e che si prevedano azioni di mitigazione alla crisi climatica nelle aree montane, accompagnando i gestori degli impianti in questo percorso di riconversione, in coerenza con quanto previsto dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e il Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici di recente approvazione. A questo riguardo, seppur cresce di poco, fa ben sperare il dato sugli impianti smantellati e riutilizzati, arrivati a 31 e riguardanti solo le Alpi.
“Capiamo la necessità di salvaguardare l’economia di questi territori e di evitare l’impoverimento e lo spopolamento del nostro appennino, ma occorre trovare strategie diverse. – commenta Francesco Occhipinti, direttore di Legambiente Emilia Romagna – E’ un dato di fatto che la neve sugli appennini è sempre meno e non si potrà continuare con la produzione di neve programmata, che comunque richiede acqua come materia prima, risorsa il cui uso può generare conflitti di interesse visti i periodi siccitosi che stiamo attraversando. E’ necessario preparare il territorio a nuove forme di turismo e smettere di investire denaro pubblico in attività che rischiano di non avere futuro”.