Lettera aperta al Sindaco di Ravenna De Pascale
LETTERA APERTA AL SINDACO DI RAVENNA DE PASCALE
Sindaco De Pascale,
In questi giorni su alcuni quotidiani nazionali è stata pubblicata una sua intervista che ci lascia basiti.
Mentre altri sindaci intervistati hanno ammesso la corresponsabilità di scelte di pianificazione e gestione territoriale sbagliate alla luce di quanto è avvenuto, lei ha scelto di dare la colpa a nutrie e ambientalisti. Vorremmo quindi mettere in fila alcuni elementi per fare chiarezza.
A sottolineare la necessità che fossero quanto prima realizzate le casse di espansione del fiume Senio sono stati per primi gli ambientalisti che, negli ultimi 15 anni, hanno più volte chiesto spiegazione rispetto ai ritardi, cercando in ogni modo di spronare gli Enti competenti a realizzare rapidamente il progetto; per certo, quindi, non può essere imputata a noi la mancata realizzazione di questa opera.
Gli ambientalisti dicono no al rigassificatore perché non solo non è uno strumento per gestire in via emergenziale un periodo di prezzi dell’energia elevati, ma è addirittura un intervento strutturale che ci legherà al fossile per i prossimi 25 anni con ulteriori emissioni climalteranti.
La relazione diretta tra gli stessi cambiamenti climatici prodotti dalle emissioni di gas serra e la nefasta alternanza di lunghi periodi di siccità e periodi di piogge molto intense è certificata dalla comunità scientifica internazionale. I dati dei climatologi parlano chiaro: ogni aumento di 0,5 gradi della temperatura globale comporta il raddoppio o la triplicazione degli eventi estremi.
Dati del Quinto Rapporto IPCC[1] indicano che il metano ha un potenziale di riscaldamento globale da 28-36 volte superiore alla CO2 su un periodo di tempo di 100 anni e di 84-87 volte superiore su un periodo di tempo di 20 anni. È stato stimato che il metano rilasciato in atmosfera è responsabile al 18% dell’incremento dell’effetto serra. La combustione di metano è poi alla base di ulteriori emissioni di anidride carbonica, gas serra primo responsabile del cambiamento climatico.
Non è quindi a causa delle nostre convinzioni contro l’energia fossile che siamo costretti a misurarci con tragedie ambientali come quella che ha colpito la nostra regione. Anzi, proprio per questi motivi abbiamo chiesto che, oltre a smettere di costruire nuove infrastrutture per il trasporto di gas, si provveda a riparare quelle esistenti, responsabili di perdite significative e dannose sia per il clima, sia per la sicurezza energetica del Paese.
Gli ambientalisti dicono sì alla manutenzione di fiumi e canali, a patto però che sia ben fatta e continuativa. Purtroppo, invece, vengono stipulati contratti di manutenzione che prevedono che una parte dei guadagni delle ditte esecutrici derivi dalla vendita del legno: questo fa sì che vengano realizzate manutenzioni a dir poco spregiudicate, come testimonia anche il lavoro dei Carabinieri Forestali[2]: solo nel 2020 sono stati eseguiti in questo campo 886 controlli di cui 127 hanno accertato irregolarità.
Non va poi dimenticato che anche le aziende agricole proprietarie o concessionarie di terreni che confinano con fiumi e canali hanno l’obbligo di fare manutenzione affinché lo scorrere dell’acqua non sia intralciato dalla vegetazione. Questo richiama la responsabilità di controllo delle amministrazioni competenti, perché la manutenzione va fatta ma va anche sorvegliata.
Come ha ricordato il Segretario dell’Autorità di Bacino del fiume Po, nemmeno la manutenzione ordinaria e straordinaria degli argini la gestione di sedimenti e vegetazione ripariale saranno in futuro attività sufficienti, proprio alla luce del cambiamento climatico. Il raggiungimento di quote limite per l’altezza degli argini è un segnale d’allarme che deve portare a un cambiamento d’approccio nella pianificazione che, come ricordato sempre dal Segretario, dovrà orientarsi verso l’incremento dello spazio disponibile per la divagazione dell’acqua, arretrando le arginature e creando nuove golene, aumentando quindi i volumi contenibili all’interno degli argini ma lavorando in termini di superficie, non di altezza. Questo richiederà sforzi economici, compreso quello per delocalizzare alcuni insediamenti, ma si tratta di un sacrificio necessario per evitare ulteriori crisi come quella avvenuta nelle scorse settimane.
Né va ignorato il contributo significativo, in negativo, dato dal consumo e dall’impermeabilizzazione del suolo, che oltre a ridurre la superficie capace di trattenere i volumi d’acqua che si scaricano a terra, determina effetti negativi sulla possibilità di ricarica delle falde freatiche e quindi sulla capacità dei territori di far fronte alla siccità, l’altra (ben nota) faccia della medaglia del cambiamento climatico. In un comunicato stampa dell’Agosto scorso evidenziavamo come, secondo i dati ISPRA relativi all’anno 2021, fra i comuni italiani Ravenna risultava secondo solo a Roma per incremento del consumo di suolo.
In ultimo, nessuno mette in dubbio che le nutrie, così come le specie fossorie in genere, contribuiscano a rendere le sponde dei fiumi meno solide, ma credere che abbiano avuto un ruolo determinante negli effetti devastanti a cui abbiamo assistito, peraltro in un’area così vasta e diversificata in quanto ad habitat locali presenti, ha il sapore di una chiacchiera da bar che non fa onore ad un amministratore del nostro territorio.
Vuole farci credere che le proteste degli animalisti rallentino la soluzione del problema? Basta leggere un po’ di letteratura scientifica per sapere, tra l’altro, che l’abbattimento massivo di questi animali non è la soluzione. Lo dicono gli studi sulla specie e lo conferma la sua espansione in Europa.
Siamo peraltro da qualche tempo impegnati, come associazione, insieme al Consorzio della Bonifica Renana e all’Università di Bologna, nel progetto Life Green4Blue, che ha tra i suoi obiettivi il ripristino della biodiversità in pianura anche attraverso il contenimento di due specie alloctone invasive, tra le quali proprio la nutria (Myocastor coypus). In tale contesto si sta sperimentando un metodo di contenimento innovativo e non cruento, lo stesso recentemente adottato dal Ministero anche per il cinghiale.
Un’amministrazione che è stata in grado di far autorizzare un rigassificatore in 120 giorni dovrebbe essere in grado di acquisire con la stessa velocità tutte le informazioni scientifiche che Ministeri e Centri di ricerca mettono a disposizione per fare le scelte giuste, ben diverse da quelle che la sua Amministrazione sta compiendo.
Con buona pace delle analisi che il fior fiore di scienziati, tecnici e intellettuali stanno facendo dagli anni ‘70 ad oggi. D’altra parte, gli studi contenuti nel volume “I limiti dello sviluppo” e relativi alla capacità portante del pianeta Terra sono stati pubblicati nel 1972. Ma è evidente che per qualcuno è come se questo non fosse accaduto.
[1] Si veda https://www.iea.org/reports/methane-tracker-2021/methane-and-climate-change, consultato in data 27/05/2023.
[2] CITAZIONE