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Allarme dai territori: scellerata la scelta di raddoppiare la produzione di gas in Italia e dubbi sull’efficacia del Pitesai

Tempi bui per la Transizione Ecologica: il nuovo piano delle aree idonee per le attività estrattive è la conferma di un Governo inadeguato ad affrontare questa grande sfida. Con questa operazione si disattendono gli impegni per il clima. 

Solleviamo la nostra voce dall’Emilia-Romagna, dalla Basilicata e dalla Sicilia, territori di rilievo per l’operato di ENI: “il Pitesai è un buco nell’acqua”. 

Oltre al decreto attuativo in arrivo per aumentare di 2,5 miliardi di mc di gas la produzione nazionale nell’Alto Adriatico e in Sicilia, nella prospettiva generale di passare dai 4,5 miliardi attuali a 7 miliardi di mc di gas, si attende anche il decreto ministeriale che definisca le aree idonee per le attività estrattive come previsto dal Pitesai. 

Come se non bastasse, vi è anche il rischio di ulteriori semplificazioni per bypassare alcuni limiti imposti dal nuovo piano e semplificare le autorizzazioni. L’obiettivo, quindi, sembra essere uno solo, ovvero quello di tornare a trivellare affidando al gas nazionale l’unica soluzione per affrontare l’attuale crisi energetica. 

Il Governo italiano si è spudoratamente schierato a favore delle società del fossile. In particolare ENI con la quale si promette un prezzo calmierato delle forniture di gas dimenticando che si tratta di quote esigue rispetto quelli che sono i consumi nazionali. Arrivare a 5-7 miliardi di mc su un consumo nazionale di oltre 70 miliardi non è determinante per le tasche dei cittadini ma è determinante per alimentare la crisi climatica giustificando ulteriori investimenti sul settore del fossile.

Lo scorso 12 febbraio insieme a 44 sigle avevamo già denunciato questa sproporzione nell’attenzione ad un settore che deve essere invece abbandonato, accusando una transizione “A tutto gas, ma nella direzione sbagliata”. L’unica vera soluzione è garantire una sempre maggiore indipendenza dalle forniture di gas da altri paesi attraverso un’importante quota di energia rinnovabile autoprodotta. Dobbiamo installare 8 GW di rinnovabile all’anno nel nostro paese entro il 2030, ma come al solito, mentre il settore del rinnovabile arranca (sono diverse decine i progetti bloccati in Italia), per estrarre gas fossile non ci si pensa due volte. 

È evidente come in questa fase la politica cavalchi un intenso malcontento dell’opinione pubblica per giustificare i propri favori alle lobby del fossile invece di responsabilizzarsi in scelte amiche del clima e dell’economia con risvolti a lungo termine. Ancora una volta interveniamo dai territori per denunciare le condizioni che contrastano la transizione ecologica dei vari contesti nazionali: 

Emilia-Romagna – invece di percorrere serie misure per la transizione del distretto ravennate attraverso la riconversione delle piattaforme da dismettere si punta a rilanciare le attività estrattive insieme a progetti di cattura e stoccaggio di CO2, oltre a disattendere gli impegni sulla dismissione anticipata della piattaforma Angela Angelina causa di subsidenza antropica a Lido di Dante. Intanto, il progetto di eolico offshore a Rimini è paradossalmente osteggiato da politica, mondo economico e parte della società civile. 

Basilicata – l’assenza di una strategia di uscita dalle fonti fossili – sia a livello nazionale che locale – unita alla fine della moratoria 2019 su nuovi progetti di ricerca e sfruttamento, rischiano di condannare la Basilicata a legarsi definitivamente all’attività di estrazione di idrocarburi. In questo scenario, è necessario invertire immediatamente la rotta, puntando su rinnovabili e abbandono delle fonti di energia fossile; al contrario, il Governo nazionale e la Regione Basilicata dimostrano ancora una volta la concreta volontà di rimandare questa scelta, continuando ad investire risorse ingenti nel settore petrolifero e degli idrocarburi più in generale. 

Sicilia – nella nostra regione insistono ben tre SIN (siti di interesse nazionale), aree contaminate dalle attività industriali del fossile che attendono la bonifica da anni: sono i poli industriali di Milazzo, Priolo e Gela, per i quali credevamo che, grazie alla transizione ecologica, fosse finalmente arrivato il tempo della riconversione e con essa il gettarsi alle spalle l’era del fossile in Sicilia. Invece, mentre si osteggiano in ogni modo le rinnovabili (attendiamo ancora la definizione delle aree idonee da parte della Regione Siciliana) tra le opposizioni dei territori e quelle della politica, la nostra regione appare praticamente idonea quasi per intero alle attività estrattive, in terra e in mare. Il paradosso appare proprio nel Canale di Sicilia: ancora una vasta area idonea alle trivellazioni passa inosservata alla politica e ai territori, mentre fortissima è l’opposizione per un impianto di eolico offshore al largo delle Egadi nonostante si parli di 2,9 GW di potenza installata con una riduzione delle emissioni di 2,7 Mt/anno di CO2 e capace da solo di spostare l’ago della bilancia verso il raggiungimento degli obiettivi fissati nel PEARS e nel PNIEC. 

Greenpeace Italia, Legambiente Nazionale e WWF hanno criticato in modo unanime il Piano strategico per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, che non mette in atto soluzioni credibili e radicali per affrontare la crisi climatica e ridurre davvero i costi delle bollette energetiche. Il Pitesai è letteralmente “un buco nell’acqua” che non contiene prospettive concrete per il phase out dal gas fossile ma anzi, ritarda ulteriormente la vera transizione dando ulteriore fiato ai cambiamenti climatici.