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Impianti di risalita al Corno alle Scale: la Regione nega la VIA con una forzatura

Progetti di nuovi impianti di risalita al Corno alle Scale

 La Regione nega  la Valutazione di Impatto ambientale ignorando il parere della Provincia di Modena

“Una forzatura negare che si stia realizzando un nuovo impianto in aree protette”

“Per le associazioni  è uno spreco di soldi pubblici  che non tiene conto del cambio clima, della sostenibilità economica e di proposte più utili  per l’economia della montagna”

 

La Regione Emilia-Romagna ha deciso (con un atto del Servizio Ambiente del 28 gennaio pubblicato sul BUR n.35 del 17/2/21) che la costruzione del nuovo impianto sul Corno alle Scale non ha bisogno di Valutazione di Impatto Ambientale.

I lavori dell’impianto proposto dal Comune di Lizzano in Belvedere (BO) e fortemente sostenuto dalla Regione vengono infatti classificati come mero ammodernamento; si tratta invece di un vero e proprio nuovo impianto: tracciato diverso, stazioni di partenza e di arrivo in sedi e a quote diverse.

Una scelta incomprensibile sia dal punto di vista ambientale per le molte criticità sugli impatti ambientali e l’interessamento di aree protette che dal punto di vista meramente imprenditoriale per la cronica mancanza di neve a causa del cambio climatico e la conseguente insostenibilità economica.

Queste criticità sono state sollevate dalle strutture regionali di WWF, CAI e Legambiente in varie occasioni, con osservazioni ufficiali depositate in regione e corredate da proposte alternative. Ma l’incomprensibilità di tale scelta di investimento che guarda al passato e non al futuro è stata sollevata nei mesi scorsi anche da tanti altri soggetti, da comitati e voci illustri della montagna come Luca Mercalli, Michele Serra e Paolo Piacentini, e da altri soggetti istituzionali.

La scelta di proseguire sulla strada di un nuovo impianto senza V.I.A. risulta quindi forzata, inspiegabile e incompatibile con i principi di precauzione e cautela che dovrebbero guidare un intervento così massiccio imponente, sicuramente irreversibile perché su un terreno incontaminato all’interno di un’area protetta. Gli stessi principi di precauzione, cautela e rispetto dei beni comuni materiali e immateriali dovrebbero invece suggerire di usare la V.I.A. come approfondimento e verifica degli screening preliminari.

Purtroppo sembra che la scelta politica presa a priori debba prevalere su tutti i percorsi di valutazione oggettiva e condivisa a tutela di un importante bene comune. Ricordiamo infatti  che  a fronte delle numerose perplessità era stato commissionato un  Masterplan  finanziato con denaro pubblico e presentato nel  2019 dal Comune di Lizzano in Belvedere: uno studio importante che valutava pro e contro di diverse ipotesi di progetto e che è rimasto nel cassetto, dimenticato da chi vorrebbe addirittura tralasciare gli approfondimenti necessari alla tutela di un bene ambientale prezioso.

Le associazioni infine sottolineano la superficialità con cui viene trattato il tema economico e del lavoro evidenziando come nella presentazione del progetto sia del tutto assente un’analisi costi-benefici dettagliata (PEF, piano economico finanziario) che dia una prospettiva credibile sull’effettivo ritorno economico dell’opera.

“Basta dedicare alla montagna  progetti di 50 anni fa, che agiscono ignorando del tutto le problematiche legate al sempre più pressante cambiamento climatico” – ribadiscono le associazioni – “Servono delle politiche lungimiranti e concrete, che sappiano affrontare i problemi del presente e del futuro senza rifugiarsi in un passato che non può tornare.  La “monocultura” della neve in montagna appartiene al passato e non può risolvere nessuna delle urgenze di oggi”.  Altre sono le scelte che possono garantire lavoro e benessere. Perfino il Presidente del Consiglio ha evidenziato  chiaramente che comparti di una economia non più sostenibile non possono più essere sovvenzionati. Finanziare l’occupazione è giusto e necessario, quindi continuare a sperperare soldi pubblici in progetti dannosi per l’ambiente e non sostenibili è doppiamente inaccettabile.

Oggi, parole espresse 130 anni orsono (gennaio 1889) da colui che universalmente è considerato il profeta dell’ambientalismo mondiale, John Muir “migliaia di persone stanche, esaurite, iper-civilizzate, stanno iniziando a scoprire che andare in montagna è tornare a casa; che la natura selvaggia è necessaria; e che i parchi e le riserve montane non sono utili solo in quanto fondi di legname e di acqua per irrigare – ma come fonti di vita”, sono solo parole al vento? Lo sfruttamento del territorio, allora per il legno, oggi come divertimentificio, solo perché può far circolare denaro deve sempre essere ammesso? Purtroppo si riempiono pagine e pagine di vane parole, legate a generiche intenzioni di protezione ma poi nello specifico ci si dimentica degli oltre 300  impianti dismessi  in tutta Italia con i loro piloni piegati, arrugginiti, basi di cemento che si sgretolano, cavi e funi e seggiolini abbandonati, degni di una scena post/apocalittica. Dobbiamo ben comprendere che la natura non la si ama in termini assoluti e generici, ma la si ama perché ognuno di noi cura l’ambiente vicino e così facendo allora si che tutta la natura ne beneficia.

“Se si vuole puntare sulla transizione ecologica, l’imperativo necessario è conservare il patrimonio ambientale  e spingere nuove modalità di fruire la montagna: il Corno alle Scale è un patrimonio di biodiversità, questo è il suo valore. Inestimabile su cui costruire un futuro possibile“, quindi concludono le associazioni, riprendendo ancora Miur “Non cieca opposizione al progresso, ma opposizione ad un progresso cieco”.