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Nevediversa – focus Emilia Romagna

Legambiente presenta oggi a Milano i dati del nuovo dossier Nevediversa 2025

 In Italia salgono a 265 gli impianti dismessi ad alta quota, raddoppiati rispetto a 5 anni fa

Piemonte, Lombardia, Abruzzo e Veneto le regioni con più strutture non funzionanti

Nella Penisola in aumento anche i bacini di innevamento artificiale

 In Emilia-Romagna 15 impianti dismessi e nessuno smantellato o recuperato a diverso uso, 10 temporaneamente chiusi, 8 aperti a singhiozzo, 34 aperti solo grazie a importanti sovvenzioni pubbliche

 Intanto a causa della crisi climatica la neve è sempre meno una certezza, i costi per l’innevamento artificiale aumentano insieme a quelli della settimana bianca. Cambia il volto della montagna ma anche quello del turismo sempre più costoso e di lusso.

 

Legambiente: “Servono più azioni di mitigazione e adattamento anche in quota, percorsi di governance

tra istituzioni, comunità locali e realtà territoriali e più finanziamenti per il turismo dolce.

Preoccupa il fenomeno dell’overtourism e turismo di lusso, serve una gestione più efficace

del territorio replicando buone pratiche”

 

Cartella stampa digitale (foto e mappe)

 

 Dalle Alpi agli Appennini nevica sempre meno. Il campanello d’allarme arriva dal numero degli impianti dismessi ad alta quota, ma anche dall’aumento dei bacini di innevamento artificiale per “fabbricare” la neve. Nella Penisola sono 265 le strutture legate agli sci non più funzionanti (di queste 13 sono in Emilia-Romagna), un dato raddoppiato rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 132. Piemonte (76), Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30) sono le regioni ad oggi con più strutture dismesse e che risentono, insieme al resto della Penisola, di una crisi climatica che anche in montagna lascia sempre più il segno, con nevicate in diminuzione e temperature in aumento, e un turismo invernale che diventa più costoso e in alcuni casi di lusso a discapito del portafoglio e dell’ambiente. Aumentano anche i bacini di innevamento artificiale: 165 quelli mappati ad oggi in Italia tramite le immagini satellitari per una superficie totale pari a 1.896.317 mq circa.

A tracciare questo quadro di sintesi, con numeri e dati, è Legambiente che oggi presenta a Milano il nuovo dossier Nevediversa 2025 “Una nuova montagna è possibile?” con il censimento aggiornato degli impianti legati agli sci tra chiusi, semichiusi e quelli che faticano a restare aperti, un focus sulle Olimpiadi invernali e un’analisi sul fenomeno dell’overtourism e turismo di lusso.

Oltre agli impianti dismessi il dossier prosegue con l’analisi di altre situazioni non rosee: sono 112 infatti le strutture temporaneamente chiuse, mentre sono 128 quelle aperte a singhiozzo; per l’Emilia-Romagna rispettivamente 10 e 8 impianti. Salgono a 218 gli impianti sottoposti ad “accanimenti terapeutici”, distribuiti in 36 comprensori, e più che raddoppiati rispetto al 2020 quando ne erano stati censiti 103. Il numero più alto in Lombardia (59), Abruzzo (47), Emilia-Romagna (34). Resta invariato, invece, il numero degli impianti smantellati e riusati, rispetto all’anno precedente, attestandosi a 31; salgano a 80 gli edifici fatiscenti censiti e sono 15 le storie di brutti progetti segnalati nel report.

Crisi climatica e azioni da mettere in campo: A pesare sulla fotografia scattata da Nevediversa 2025 è la crisi climatica che impone un ripensamento del rapporto con la montagna, in quota e a valle. Per Legambiente servono in primis più azioni di mitigazione e adattamento e più finanziamenti per il turismo dolce, accompagnati da una migliore gestione del territorio replicando le buone pratiche. Le previsioni per i prossimi anni indicano inverni significativamente più caldi rispetto a oggi, con un conseguente calo delle nevicate. I dati della Fondazione CIMA illustrano chiaramente il grave deficit nevoso registrato al 13 febbraio 2025 rispetto alle medie storiche. Sulle Alpi nella fascia tra i 1000 e i 2000 metri, la riduzione dell’innevamento è del 71% e addirittura del 94% sugli Appennini. A quote più elevate, tra i 2000 ei 3000 metri, il deficit si attesta al 43% sulle Alpi e al 78% sugli Appennini, evidenziando una situazione critica soprattutto lungo la dorsale appenninica. Dati che evidenziano le difficoltà a cui vanno incontro gli impianti sciistici che, a causa della crisi climatica, hanno prospettive di sviluppo sempre più incerte. Sul sito del Ministero del Turismo, dall’inizio del governo Meloni, sono stati pubblicati avvisi riguardanti l’assegnazione e l’erogazione di contributi pari a ben 430 milioni di euro, destinati a compensare le perdite subite dai comprensori sciistici. Inoltre, fino al 2028, il Ministero continuerà a finanziare a fondo perduto le imprese che gestiscono impianti di risalita a fune.

 

“Quanto sta accadendo ad alta quota è solo la punta di un iceberg – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – la crisi climatica sta avanzando a ritmi preoccupanti, la fusione dei ghiacciai da un lato, la diminuzione delle nevicate, ma anche la chiusura di diversi impianti insieme a quelli che faticano spesso a restare aperti, dall’altro, sono facce della stessa medaglia su cui va aperta una importante riflessione che deve essere accompagnata da interventi concreti. Si continua ad alimentare la pratica dell’innevamento artificiale, che comporta consistenti consumi di acqua e di energia, senza invece mettere in campo una chiara strategia di adattamento e mitigazione alla crisi climatica. È da qui che bisogna partire, se si vuole arrivare ad una migliore gestione del territorio”.

 

Costi innevamento artificiale: Negli ultimi anni, gli impianti di neve artificiale sono diventati una spesa costante e cruciale per la sopravvivenza dei comprensori e per garantire la settimana bianca. Tra gli esempi simbolo citati da Legambiente nel report ci sono Veneto, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia. A metà febbraio si è registrata una spesa di 2 milioni di euro per l’innevamento artificiale nelle aree montane del Bellunese dall’inizio della stagione. Nel caso del Sestriere, in Piemonte, in quattro anni la cifra spesa ha superato i 10 milioni di €. Per innevare i 125 chilometri di piste del Friuli-Venezia Giulia, il costo stagionale si aggira intorno ai 5.300.000 euro. Oltre alla spesa in conto capitale. Dall’altro lato salgono in Italia i costi della settimana bianca. Una famiglia di tre persone, stando alle ultime stime, quest’anno spenderà in media 186 euro al giorno solo per accedere agli impianti di risalita e alle piste. In aumento, secondo Federturismo, anche il costo di hotel (+5,1%), delle scuole di sci (+6,9%), i servizi di ristorazione (+8,1%). In sintesi, per una settimana bianca, un adulto spende in media 1.453 euro, mentre un nucleo familiare composto da due genitori e un figlio affronta una spesa di circa 3.720 euro.

Per l’Emilia-Romagna è emblematico il caso di Cerreto[1]. L’operatore privato che ha in gestione gli impianti ha ammesso poco tempo fa sulla stampa la difficoltà di realizzare l’innevamento artificiale per i costi che questo comporta e la diminuzione dell’innevamento naturale dovuto ai cambiamenti climatici. Nella sua dichiarazione ha reso anche evidente che altri comprensori riescono a realizzare le piste solo grazie ai contributi pubblici che arrivano da Comuni e Province, perché le società che gestiscono gli impianti sono in parte o del tutto di proprietà pubblica.

Il Presidente della Regione Michele De Pascale nel suo tour di rilancio del turismo in Appennino ha parlato saggiamente di un turismo che deve essere presente tutto l’anno, della necessità di rendere attrattiva la nostra montagna anche in altre stagioni oltre quella invernale, per riportare prima di tutti gli emiliani sugli appennini, e in seconda battuta anche i turisti stranieri – commenta Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna. – Alla luce dei dati emersi, è evidente che gli investimenti in progetti che hanno come base il turismo invernale dello sci, come la modifica degli impianti del Corno alle Scale per un costo di oltre 7 milioni di euro o la recente inaugurazione del tapis roulant da 565 mila, sono fuori contesto rispetto al nuovo scenario meteoclimatico. Non è sufficiente un solo anno di buone nevicate per rilanciare località dove si persa ricettività e attrattività. Serve invece un cambio di rotta deciso da parte della Regione Emilia-Romagna a favore della promozione del nostro Appennino per un turismo che duri tutto l’anno, stanziando risorse per la creazione di nuovi prodotti turistici sostenibili e al passo con i tempi.”

  • [1] Gazzetta di Modena , 5 febbraio 2025 “A Sestola sparano la neve, a Cerreto no. «Costi troppo elevati»”