Diga di Vetto, Legambiente: “Opera obsoleta, siamo contrari al progetto del grande sbarramento”
Diga di Vetto, Legambiente: “Opera obsoleta, siamo contrari al progetto del grande sbarramento”
“Priorità a misure di contenimento della domanda e analisi del reale fabbisogno. L’invaso resti l’ultima opzione. Si agisca in ottica di adattamento ai cambiamenti climatici”
Si torna a parlare del progetto della Diga di Vetto, un’opera rispetto alla quale Legambiente Emilia-Romagna aveva già espresso contrarietà nel 2017.
Allo studio di fattibilità necessario per la realizzazione di questa grande opera fa infatti riferimento lo stanziamento di 3 milioni previsto dalla regione Emilia-Romagna: lo studio di fattibilità è stato commissionato all’Autorità di Bacino, alla luce delle necessità di approvvigionamento idrico emerse nel periodo della siccità del 2021-22.
Nonostante le diverse opzioni individuate dalla stessa Autorità di Bacino in una fase di studio precedente, nella quale la realizzazione di un invaso veniva considerata come “ultima spiaggia”, l’intervento continua ad essere fortemente caldeggiato da alcuni settori dell’economia locale e per questo è stato inserito in una fase di studio avanzata per valutarne le caratteristiche alla luce delle necessità attuali.
Le perplessità di Legambiente Emilia-Romagna partono, ancora una volta, dal fatto che sia stato riesumato a livello di dibattito pubblico un progetto degli anni ’80, che valutato oggi risponde ad una logica estranea ai problemi della contemporaneità: all’epoca era infatti finalizzato soltanto a soddisfare il fabbisogno idrico delle attività produttive, tralasciando gli aspetti della conservazione degli habitat e gli scenari attuali profondamente condizionati dalla crisi climatica in atto.
Che oggi il ciclo dell’acqua stia mutando in modo drastico è davanti agli occhi di tutti, come dimostrano le alluvioni di maggio e gli estesi periodi di siccità degli anni scorsi. Può quindi essere effettiva la necessità di intervenire nei termini di un incremento della capacità di invasare acqua per usi civili e industriali, ma nel caso del progetto della diga (almeno quello originale) il fine non giustifica i mezzi: un’opera delle dimensioni previste dal progetto dell’epoca, un’opera che peraltro si prevede possa entrare in funzione tra 30 anni, non solo non risponde alle emergenze del presente per i tempi lunghi di realizzazione, ma è destinata a mettere a rischio gli stessi habitat che oggi contribuiscono alla regolazione e alla ricarica della falda acquifera e alla riduzione dei rischi derivanti dagli eventi estremi sempre più frequenti.
In questa mancanza di un opportuno dimensionamento, l’opera tradisce la sua visione dell’uso “strumentale” della risorsa, ad uso esclusivo dell’uomo, senza tenere conto degli effetti a cascata che sarebbe destinata a produrre a livello ecologico, e conseguentemente sulla qualità e quantità di acqua disponibile per l’uso da parte dell’uomo e degli altri esseri viventi, andando quindi in direzione opposta a quanto previsto dalle direttive e dalle strategie europee, a partire dalla direttiva quadro acque, dalla direttiva alluvioni e dalla strategia sulla biodiversità.
Quello che è necessario oggi, al contrario, è un approccio progettuale integrato, che tenga insieme gli usi produttivi con la necessità di preservare l’ecosistema e le funzioni che esso svolge. L’intervento sulla val d’Enza e sui territori reggiani e parmensi deve quindi comprendere le molteplici misure attuabili per alleviare la mancanza di acqua, a partire dagli interventi sulla rete di distribuzione dell’acqua per la riduzione delle perdite e dall’impiego di tecniche irrigue che favoriscano il risparmio idrico. Queste opere, piccole e distribuite, non solo potrebbero essere già un contributo fondamentale per fronteggiare fin d’ora la scarsità idrica, ma sarebbero da realizzare anche in caso della costruzione di un invaso, anzi prioritariamente rispetto ad esso: vogliamo stoccare più acqua per continuare a sprecarne, e sprecarne in prospettiva sempre di più?
Un’altra soluzione necessaria è l’utilizzo delle acque reflue per l’irrigazione: ad esempio, nel caso della val d’Enza, un impianto di trattamento delle acque civili di Monticelli porterebbe un volume effettivo di 1.5 Mm3/anno.
Oltre a queste misure, è più che mai fondamentale un ragionamento più complessivo sulle caratteristiche del tessuto produttivo dell’area e sul fabbisogno di risorse idriche, a partire dal settore agricolo e agroalimentare, per le quali la soluzione non può essere la costruzione di una diga. Se la Diga di Vetto è ritenuta necessaria alla sopravvivenza economica di lungo termine di settori fortemente idro-esigenti come questi, è comunque prioritario mettere in campo tutte quelle soluzioni, oggi note e disponibili, volte a ridurre drasticamente l’impronta idrica, con maggiore efficacia nella risposta agli scenari presenti e futuri derivanti dal cambiamento climatico. Pensiamo ad esempio alla produzione del Parmigiano Reggiano, che deve essere rivista nei contesti nei quali è tuttora impiegata la pratica dell’irrigazione a scorrimento dei prati stabili per il foraggio, particolarmente impattante sotto il profilo dell’impronta idrica.
Tutti questi elementi ci portano quindi a sostenere la necessità di un serio dibattito sulle opzioni per il futuro del sistema di approvvigionamento idrico dei territori di Parma e Reggio Emilia, in cui la realizzazione di una diga non sia vista come la panacea che risolve tutte le conseguenze del cambiamento climatico. Al contrario, l’invaso è una soluzione “estrema” da adottare soltanto qualora non vi fosse la possibilità di rispondere alla domanda di risorsa idrica attraverso interventi meno impattanti; in ogni caso, si tratta di un intervento che verrà realizzato in tempi decisamente lunghi.
Per questo occorre che siano applicate da subito tutte le azioni di riduzione della domanda immediatamente realizzabili, perché il rischio di un periodo siccitoso è sempre presente e la necessità di equilibrare i prelievi idrici all’effettiva disponibilità di risorsa idrica è immediata.
Contestualmente, è fondamentale compiere analisi che possano consentire di stimare il reale fabbisogno, e quindi poter valutare in modo adeguato quanto sia effettivamente necessario questo invaso ed eventualmente in che dimensioni dovrebbe essere realizzato. Occorre quindi redigere il prima possibile un bilancio idrico di bacino che possa dar conto delle effettive necessità e dei miglioramenti da apportare nei settori produttivi al fine di ridurre la domanda di risorsa idrica.
Infine, è necessaria una valutazione oggettiva delle risorse necessarie per la realizzazione dell’opera, nelle dimensioni che si dimostreranno eventualmente essere davvero necessarie, e l’esplicazione di chi saranno i soggetti sui quali graveranno i costi, dal momento che, per ora, le risorse stanziate hanno consentito di finanziare il solo studio di fattibilità.