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Scacco matto alle rinnovabili – In Italia ancora troppi ostacoli alla diffusione delle fonti pulite

Ecco la mappa dei 20 luoghi simbolo dove oggi le rinnovabili sono ostacolate e ferme al palo a causa di burocrazia, amministrazioni locali e regionali, Sovrintendenze e comitati Nimby e Nimto

 In Emilia-Romagna contrastato l’impianto eolico offshore di Rimini, che per la riduzione di emissioni annue di CO2 avrebbe gli effetti di oltre 150.000 impianti fotovoltaici familiari da 3 kW

Secondo noi: “Il rincaro bollette non si risolve attraverso una insensata corsa al gas e al nucleare, ma puntando su fonti pulite, efficienza e autoproduzione. Se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta venisse realizzato, l’Italia avrebbe anche già raggiunto gli obiettivi climatici europei”

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 Nell’Italia del sole e del vento, le rinnovabili faticano a decollare, anzi il più delle volte sono ostacolate da una burocrazia farraginosa, ma anche da blocchi da parte di amministrazioni locali e regionali, da comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) senza dimenticare il ruolo del Ministero della Cultura e delle Sovrintendenze. A metterle sotto scacco matto sono normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. E la poca chiarezza è anche causa delle opposizioni dei territori che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie. 

È quanto emerge dalla fotografia scattata dal nuovo report di Legambiente “Scacco Matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni” in cui raccogliamo e raccontiamo venti storie simbolo di blocchi alle fonti pulite.  Storie che riguardano tutta la Penisola, dal Nord al Sud Italia. Si va ad esempio dal Veneto dove il consiglio regionale ha proposto una legge per limitare il fotovoltaico in aree agricole (contenendo la potenza installabile di impianti solari fotovoltaici su aree agricole fino ad un massimo di 200 kWp o 1 MWp, in base alla tipologia di area agricola interessata dall’impianto) ai casi dell’eolico offshore di Rimini, Taranto, Sicilia e Sardegna (Sulcis).

 In Emilia-Romagna abbiamo più volte rimarcato i benefici che l’impianto eolico offshore di Rimini apporterebbe al territorio e al bilancio energetico regionale: si stima che a livello di riduzione di emissioni annue di CO2 l’impianto avrebbe gli effetti di oltre 150.000 impianti fotovoltaici familiari da 3 kW o la piantumazione di oltre 5 milioni di alberi. Questo anche tenendo conto di disponibilità di vento piuttosto cautelative.

Ciononostante, il progetto è contrastato da un’imponente azione NIMBY e NIMTO a livello regionale e locale, in particolare all’interno del Comune di Rimini, che, come effetto immediato ha portato ad un ridimensionamento dell’opera da 59 pale eoliche a 51, riducendo l’area interessata da 113 a 80 chilometri quadrati. Anche dalla Giunta regionale sono arrivati strali inappropriati: l’assessore regionale Corsini infatti, pur in assenza di competenza in materia di VIA si è espresso fin da subito contro l’impianto. Lo stesso assessore, tuttavia, che è continuamente sulla stampa a richiedere al governo risorse per nuove strade e autostrade. 

L’associazione si domanda quindi come la Regione Emilia-Romagna pensa di raggiungere gli obiettivi che si era posta, e cioè la neutralità carbonica al 2050 e il raggiungimento del 100% di fonti rinnovabili entro il 2035.

A livello nazionale, tutti questi ostacoli stanno mettendo a rischio anche il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica. Un obiettivo preciso per mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo e che l’Italia con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni rischia di veder raggiunti non prima del 2100. Eppure, sottolinea Legambiente, se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, la nostra Penisola avrebbe già raggiunto gli obiettivi climatici europei.

 “I pesanti rincari in bolletta dovuti all’eccessivo consumo di gas in Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – si affrontano in modo strutturale, non con l’aumento della produzione nazionale dei pochi idrocarburi presenti nel sottosuolo e nei fondali marini italiani o con un surreale ritorno al costosissimo nucleare, ma con lo sviluppo delle rinnovabili, l’innovazione industriale e politiche di efficienza energetica in edilizia. È urgente snellire le procedure per i nuovi progetti di eolico a terra e a mare, per l’ammodernamento degli impianti esistenti, per la realizzazione dell’agrivoltaico che produce elettricità come integrazione e non sostituzione della coltivazione agricola, per le comunità energetiche che usano localmente energia prodotta da fonte rinnovabile. Il ministro della Cultura Franceschini deve fissare regole chiare sulla semplificazione delle autorizzazioni del fotovoltaico integrato sui tetti nei centri storici, perché altrimenti le Soprintendenze continueranno a dire sempre no, a beneficio di chi vuole fare fotovoltaico a terra e nuove centrali a gas”.

“Al momento – spiega Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – le attuali regole e procedure portano i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, ad esempio, a 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Tempi infiniti per le imprese, ma soprattutto per la decarbonizzazione che ha bisogno di un quadro normativo, composto da regole chiare, e semplici da applicare, e che dia tempi certi alle procedure ma anche di linee guida che indichino come le diverse tecnologie debbano essere realizzate pensando sia agli obiettivi di decarbonizzazione nel 2050 quanto al modo migliore di integrarle nei territori. Inoltre è fondamentale mettere al centro le esigenze dei territori, passando per una partecipazione attiva e costruttiva degli stessi, in grado di far realizzare 9 GW di fonti rinnovabili l’anno da qui al 2030.  Il paesaggio è un bene comune e inevitabilmente sarà trasformato dalla presenza delle rinnovabili, ma questa trasformazione deve avere un valore positivo, con rinnovabili ottimamente integrate che è quello che tutti auspichiamo, e con ciminiere e gruppi di centrali termoelettriche che verranno smantellati”.

Criticità e Proposte: Nel report Legambiente ricorda che tra le prime criticità che investono lo sviluppo delle fonti rinnovabili, nel nostro Paese, c’è la mancanza di un quadro normativo unico e certo in grado di mettere ordine e di ispirare le decisioni di tutti gli attori coinvolti nei processi di valutazione e autorizzativi. Il principale riferimento è il Decreto Interministeriale del 10 settembre 2010, emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell’Ambiente (ora Ministero della Transizione Ecologica) e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Un testo che ha ormai quasi 12 anni e risulta obsoleto rispetto a quanto è cambiato non solo in termini di conoscenze delle diverse tecnologie ma anche di innovazione e applicabilità. Per questo lanciamo oggi le sue proposte ribadendo l’urgenza di una revisione delle linee guida, rimaste ferme al DM del 2010, con un inquadramento aggiornato del comparto delle fonti rinnovabili e attraverso un lavoro congiunto tra MITE, MISE e Ministero della Cultura. Il varo di un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato e dia tempi certi alle procedure.  Inoltre a fianco a processi di semplificazione dei processi, di trasparenza e certezza dei tempi è necessaria una maggiore partecipazione dei territori sia nell’individuazione delle strategie da attuare per il raggiungimento degli obiettivi climatici sia nella realizzazione e individuazione dei siti dove questi devono essere collocati.   

Un esempio significativo è il lavoro che abbiamo portato avanti in Emilia-Romagna sulla necessità di favorire la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici in aree degradate, discariche e sulle grandi superfici oggi adibite a parcheggi urbani. Secondo le stime di uno studio che abbiamo svolto sulle aree parcheggio in regione, infatti, negli 800.000 mq censiti ci sarebbe la possibilità di installare circa 190 MW di fotovoltaico, che coprirebbero il fabbisogno energetico di più di 50 mila famiglie.

Il report completo Scacco matto alle rinnovabili è disponibile su www.legambiente.it

Link per mappa e clip di commento:

https://drive.google.com/drive/folders/1brW_L4JjbwXO5gT7JDN6WLvy-O48hN0h?usp=sharing