Ravenna chiede lo stop alla piattaforma Angela Angelina
Il Consiglio Comunale, in una delibera di ieri, chiede ad Eni la chiusura anticipata di Angela Angelina, la piattaforma che sta “affondando” Lido di Dante.
Una conferma da parte del Comune di Ravenna che l’estrazione sotto costa in Alto Adriatico, ma non solo, è la principale causa antropica della subsidenza.
La presa di posizione dell’Amministrazione ravennate, conferma l’importanza della vittoria del Sì al referendum del 17 aprile, per dare un termine certo alle attività estrattive in corso.
Il primo segnale importante di come non si possa più ignorare i veri impatti di queste attività, arriva inaspettatamente dal Comune di Ravenna.
In una delibera votata ieri sera in Consiglio Comunale, l’amministrazione di Ravenna si impegna ad avviare un percorso con Eni per la chiusura anticipata della Piattaforma Angela Angelina.
Angela Angelina è la più piattaforma più vicina alla costa, tra le 47 attive in Emilia Romagna per l’estrazione di gas entro le 12 miglia, ed opera a soli 2 km dalle spiagge di Lido di Dante (qui la mappa interattiva delle piattaforme in Emilia Romagna).
Un’attività che ha causato un abbassamento del territorio di Lido di Dante, dovuta al fenomeno della subsidenza.
Una velocità di abbassamento che è aumentata sensibilmente a seguito della riperforazione del pozzo, iniziata nel 1998: se il fenomeno della subsidenza era quantificabile in 12mm/anno fino al 1999, negli anni successivi dal 1999 al 2015 si è passati alla media di 19 mm/anno.
Nella zona dell’Alto Adriatico infatti è il fenomeno della subsidenza, cioè l’abbassamento lento del suolo, il problema più rilevante per l’economia del territorio, basta su bellezze naturali e turismo. L’estrazione di gas sotto costa, anche se non è l’unica causa di tale fenomeno, resta la principale causa antropica di perdita di volume del sedimento nel sottosuolo, con l’effetto dell’abbassamento della superfice topografica. I dati dei monitoraggi Arpa evidenziano come le conseguenze più rilevanti si registrano in particolare sulla fascia costiera dell’Emilia Romagna che negli ultimi 55 anni si è abbassata di 70 cm a Rimini e di oltre un metro da Cesenatico al delta del Po.
Alcuni studi riportano come l’abbassamento di un centimetro all’anno comporta, nello stesso periodo, una perdita di un milione di metri cubi di sabbia sui 100 km di costa.
Assegnando alla sabbia utilizzata per il ripascimento delle spiagge il costo di 10€/m³, ogni anno andrebbero spesi 13 milioni di euro per rimpiazzare la sabbia persa. Nella fascia costiera, tra il 1950 e il 2005 tra Rimini e il delta del Po, per via dell’abbassamento di circa 1 metro, sono andati perduti circa 100.000.000 m³ di sabbia, con un danno stimato di 1 miliardo di euro, contro i 7,5 milioni di euro all’anno ottenuti come Royalties dalle compagnie petrolifere.
Non vi è quindi alcun dubbio che il costo per la collettività causato dalle estrazioni sotto costa, sia di gran lunga maggiore del vantaggio che ne deriva.
“Da Anni Legambiente e cittadini – dichiara Lorenzo Frattini, Presidente Legambiente Emilia Romagna – sottolineano i danni dell’attività estrattiva sotto costa. Finalmente, con un referendum alle porte, sembra che anche l’amministrazione di Ravenna si sia decisa ad aprire gli occhi. Raggiungere il quorum e la vittoria del Sì al referendum del 17 aprile è un segnale fondamentale per indicare una strada nuova e positiva per i territori, dando una scadenza certa all’estrazione delle limitatissime risorse di gas presenti nei fondali della nostra regione, contro lo spreco di denaro pubblico oltre che per mettere fine ai danni agli ecosistemi ed alle attività economiche legate al turismo, prodotti dalle trivellazioni; trivelle che arricchiscono poche grandi compagnie, scaricando i costi su tutti i cittadini”.