Trivelle selvagge: tra le regioni che impugnano lo Sblocca Italia manca l’Emilia Romagna
Trivelle Selvagge: 6 regioni impugnano il provvedimento contenuto nello Sblocca Italia – Tra queste non c’è l’Emilia Romagna.
Invitiamo Bonaccini ad aggiungersi al folto gruppo di governatori entro il 10 gennaio.
Fermare future ipotesi di ricerca ed estrazioni idrocarburi in regione e su una costa già fortemente colpita dalla subsidenza.
Cresce l’opposizione delle Regioni e dei sindaci all’art. 38 del decreto Sblocca Italia che sceglie oggi le trivelle per fare cassa a spese dell’ambiente, ipotecando lo sviluppo del turismo e della pesca sostenibile del Belpaese. Sono già 6 le Regioni che hanno deciso di impugnare di fronte alla Corte Costituzionale entro il 10 gennaio la legge 166/2014 di conversione del decreto 133/2014 Bidona Italia, grazie all’azione promossa congiuntamente da FAI, Greenpeace, Legambiente, Marevivo e Touring Club Italiano e WWF: hanno già risposto positivamente Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto.
Salta all’occhio l’assenza dell’Emilia Romagna in questo gruppo di Regioni. E’ l’ennesima occasione persa dal neogovernatore Bonaccini per dare un segnale di svolta in campo ambientale. Ma c’è ancora tempo per cambiare rotta: la possibilità di impugnare il decreto alla Corte Costituzionale scade il 10 gennaio prossimo. Per questo chiediamo a Bonaccini di prendere posizione su un tema di estrema importanza come il rilascio delle concessioni di ricerca e trivellazione di idrocarburi. Soprattutto in una zona, quella della costa emiliano romagnola, che è a forte rischio subsidenza: aggiungere un fattore antropico alla subsidenza naturale già presente, è un azzardo inaccettabile.
Come sostenuto e richiesto dalle associazioni ambientaliste, alcune Regioni stanno decidendo di contrastare la forzatura dirigistica, voluta dal Ministero dello Sviluppo Economico, e contraria al Titolo V della Costituzione, che bypassa l’intesa con le Regioni e stabilisce corsie preferenziali e poco trasparenti per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche di ricerca e coltivazione di idrocarburi.
Bisogna ricordare che mentre le attività petrolifere italiane varrebbero, secondo stime di Assomineraria, lo 0,5 per cento del Prodotto Interno Lordo, l’Italia, secondo il rapporto “World Travel & Tourism Council”, ha ricavato nel 2013 dalle attività turistiche (compreso l’indotto) il 10,3 del proprio PIL.
Ricordiamo che le disposizione dell’art. 38 del decreto legge n. 133/201 ora convertito nella legge n. 166/2014: 1) consentono di applicare le procedure semplificate e accelerate sulle infrastrutture strategiche ad una intera categoria di interventi, senza che vengano individuate le priorità e senza che venga chiarito se il “piano delle aree”, come previsto dalle leggi vigenti, si applichi la Valutazione Ambientale Strategica; 2) trasferiscono d’autorità nel marzo 2015 le procedure di VIA sulle attività a terra dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente; 3) compiono una forzatura rispetto alle competenze concorrenti tra Stato e Regioni, cui al vigente Titolo V della Costituzione, non prevedendo che sono necessarie “intese forti” con le Regioni; 4) prevedono una concessione unica per ricerca e coltivazione, in contrasto con la distinzione comunitaria tra le autorizzazioni per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi; 5) trasformano forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico, derivante dalle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, in “progetti sperimentali di coltivazione”; 6) costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa dell’ambiente e della biodiversità, rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/30/UE e dalla nuova Direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto Ambientale.