Centrale a Biomasse di Russi: scelta miope del territorio
Un progetto sbagliato dal punto di vista energetico e in cui i criteri di sostenibilità sono stati messi all’ultimo posto
La dimensione dell’impianto sancisce l’impossibilità di avviare un modello virtuoso di piccole centrali delocalizzate, irrigidendo il sistema con il risultato di trasferimenti su gomma di enormi quantitativi di materiale verso la centrale
E’ di questi giorni la presentazione, nella quale si è dato molto eco al presunto beneficio ambientale, del progetto della centrale a Biomasse di Russi, a seguito dello sblocco del progetto da parte del Consiglio di Stato che dato parere positivo alla costruzione della centrale dopo un primo stop del TAR, che aveva invece accolto il ricorso di associazioni e comitati.
Riprende così nuovo slancio il progetto di questa mega centrale a Biomasse, che sorgerà sulle ceneri dell’Ex zuccherificio di Russi.
Purtroppo la soluzione progettuale individuata dai proponenti e validata dalle istituzioni, è quella più scontata, da cui è esclusa completamente un giudizio sull’ottimizzazione energetica, sulla sostenibilità ambientale e sull’inserimento nel territorio. La grande taglia dell’impianto- 30 MW elettrici- richiederà di drenare materiale da un territorio molto ampio con un incidenza significativa del trasporto (in termini di emissioni e di consumi di combustibile), infatti la centrale richiederà una quantità di combustibile pari a 270.000 t/anno di biomasse da bruciare per produrre 100 MW termici necessari a ottenere una potenza elettrica pari a 30 MW. Una tale quantità di biomassa sembra non esistere in provincia di Ravenna, nonostante quanto abbiano dichiarato nei giorni scorasi i dirigenti dell’azienda che ha presentato il progetto: da studi della Provincia infatti risulterebbe che, se tutto il terreno potenzialmente disponibile per le colture energetiche fosse convertito a pioppo, la quantità disponibile non arriverebbe nemmeno a 100.000 t/anno, ciò significa quindi che il bacino di provenienza del materiale sarà necessariamente molto più ambio dei 70 km di raggio previsti.
Il progetto mostra quindi grosse lacune in merito alla programmazione energetica: un utilizzo virtuoso delle biomasse prevede infatti la progettazione di filiere corte della materia, l’esatto contrario di quanto avverrà a Russi. Invece che guardare in scandinavia, basta portare lo sguardo nel più vicino Trentino Alto Adige per avere spunti sulla corretta gestione delle biomasse legnose a filiera corta.
Inoltre, la mancanza di recupero di calore nel progetto previsto, significa avere rendimenti bassissimi, in grado di sfruttare meno del 30% del contenuto energetico, a differenza di quanto auspicato dalla direttiva europea 28/2009 che prevede rendimenti minimi del 70%.
Rimangono quindi aperti molti dubbi soprattutto sull’origine dei materiali, sia per distanza che per tipologia. Il bacino agricolo circostante saprà fornire il combustibile necessario? (molti dati e analisi dicono di no). Che effetto avrà questo sulle produzioni alimentari tradizionali, ammesso che gli agricoltori locali decidano tutti di convertire le loro colture?
Chiediamo ancora una volta alle amministrazioni coinvolte di rivedere l’attuale progetto mantenendo le prospettive di nuova occupazione, ma smettendo di seguire acriticamente la strada ambientalmente insostenibile indicata dalle stesse aziende coinvolte nella costruzione della centrale.
Il rischio è quello di sottoscrivere una pesante ipoteca rispetto ad uno sviluppo sostenibile dei propri territori.