Cave: che fine ha fatto la riforma della legge regionale?
E’ passato più di un anno dalla mozione dell’assemblea legislativa che impegnava la Giunta Regionale ad aggiornare gli oneri sulle attività estrattive.
Chiediamo che si voti subito la riforma complessiva della disciplina delle attività estrattive in Emilia Romagna. I maggiori oneri siano destinati ad un pacchetto di riqualificazione delle città.
Costruire la “green economy” passa anche da queste scelte.
E’ passato più di un anno da quando l’assemblea legislativa della regione Emilia Romagna ha votato una mozione che impegnava la Giunta Regionale ad avviare la riforma della disciplina delle attività estrattive in Emilia Romagna con un aggiornamento degli oneri di cava. In aprile 2011 Legambiente aveva salutato con favore questa risoluzione, ammonendo però sul fatto che non rimanesse solo sulla carta. Ad oggi l’associazione deve rammaricarsi che questa preoccupazione si sia rivelata fondata, e ad oggi non sia stata ancora presentata nessuna proposta di legge che vada in questa direzione.
Ha fatto bene il consigliere regionale Gian Guido Naldi nei giorni scorsi ad incalzare la propria maggioranza su questo tema, ricordando come la riforma della legge sulle cave sia particolarmente urgente.
In Emilia Romagna la tariffa per i cavatori è stata fissata dalla Giunta Regionale nel lontano 1992 e sono ben diciotto anni che non viene toccata.
Ricordiamo che dal dossier Cave 2011, su un dato complessivo nazionale di 89 milioni di metri cubi cavati, risulta come l’Emilia Romagna sia una delle regioni italiane con maggiore quantità di sabbia e ghiaia estratte: un dato che per l’anno 2011 si attesta su 8 milioni di m3 di sabbia e ghiaia estratti, e 1 milione e 250 mila m3 di argilla (su un totale nazionale di 8 milioni), materiale per cui detiene il primato di estrazione in Italia.
Nella nostra Regione il prezzo di mercato della ghiaia viaggia fra i 15-20 euro al metro cubo, per un volume di affari annuo stimato a prezzo di vendita di oltre 132 milioni di Euro. La ghiaia, non a torto, è considerata l’oro grigio del territorio, che non può essere “svenduto” se si considera l’incremento del rischio di inquinamento per le falde acquifere e le forti limitazioni della capacità di ricarica delle falde dovute alla riduzione dello spessore delle ghiaie.
L’obiettivo non è assolutamente quello di “scavare per incassare di più”, piuttosto, l’aumento degli oneri di concessione per l’attività estrattiva sui materiali vergini promuoverebbe un settore innovativo come quello del recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia, che può sostituire quelli di cava – come sta avvenendo in molti Paesi europei – e che consente di avere il 30% in più di occupati nel settore e di risparmiare il paesaggio. Risulta sempre più importante andare in questa direzione se consideriamo la gestione dei rifiuti da demolizione provenienti dalle zone colpite dal sisma e dal fabbisogno di inerti che richiederà la ricostruzione.
Crediamo che i maggiori proventi derivanti dall’adeguamento degli oneri, dovrebbero essere sfruttati per costituire un “Pacchetto città” destinato ad agevolare le grandi riqualificazioni urbane di cui i nostri capoluoghi hanno bisogno.
“Aumentare gli oneri di cava” afferma Lorenzo Frattini presidente regionale dell’associazione “non è un attentato all’economia come sottolinea qualche cavatore. E’ semmai perfettamente in linea con le indicazioni UE che invitano a tassare di più il consumo di risorse e meno il lavoro. Legare poi i maggiori proventi ad attività di riqualificazione urbana garantirebbe comunque ossigeno al settore edile e posti di lavoro anche nella filiera del recupero. La Regione parla molto di Green Economy, riteniamo però che per riempire questa formula di contenuti servano anche scelte che sappiano andare oltre gli interessi delle vecchie lobby”.