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Processo per furto di sabbia nel Po

Una battaglia per la difesa della legalità sulle sponde del Grande Fiume.

Dopo la condanna degli imputati in primo grado, martedì 29 maggio prosegue il confronto giudiziario nel secondo grado d’appello in cui Legambiente si è costituita parte civile.

Era il novembre del 2003 quando la Polizia Giudiziaria, appostata sulle rive del Po nei pressi di Boretto (RE), fermò quattro dipendenti delle aziende Bacchi e Terracqua: gli uomini si trovavano a bordo di una moto draga, nel bel mezzo dell’alveo del fiume, e stavano estraendo la preziosissima sabbia del Po in piena notte. Pizzicati in flagranza di reato, arrestati e processati per direttissima.
Un processo che ha avuto inizio, però, solo nel 2008 e che ora, dopo la condanna in primo grado di tutti gli imputati, va a proseguire in appello.
Legambiente, che da sempre segue la vicenda e monitora costantemente la situazione del Grande Fiume, costituitasi parte civile nel processo, attende fiduciosa la prossima udienza del procedimento penale, fissata per martedì 29 maggio presso la Corte d’Appello di Bologna.

Il furto della sabbia dai fondali fluviali è un reato molto diffuso lungo il fiume Po fin dall’inizio degli anni ’60. Il prezioso e resistente materiale è assai ambito nel settore edile dove viene usato per produrre mattoni, piloni in cemento, strade, ecc: milioni di metri cubi di sabbia proveniente da Po vennero impiegati nella costruzione dell’Autostrada del Sole; anche oggi viene adoperata per le grandi opere, come ad esempio l’Alta Velocità in cui è usata nei “trapezi” su cui poggiano i binari.

Dal 1992 l’estrazione della sabbia è permessa solo nelle zone golenali e rivierasche e non più dall’alveo del corso d’acqua: questo divieto nasce dall’esigenza di limitare i danni causati direttamente dallo sfruttamento incontrollato che fino a quel momento era stato portato avanti. Scavare nell’alveo del Po ha condotto alla formazione di un canale centrale più profondo che ha provocato un notevole abbassamento del letto del fiume (circa 4 metri persi nell’ultimo secolo) e il conseguente allontanamento dell’acqua dalle rive. A causa della riduzione del livello dell’acqua si è registrato un incremento delle azioni di manutenzione dei ponti tra le due sponde. Per lo stesso motivo anche gli impianti di pompaggio dei consorzi di bonifica sono stati più volte rifatti, per non lasciare i campi senza acqua per l’irrigazione. La preoccupazione maggiore si ha in caso di piena del fiume in quanto, proprio per l’esistenza di un canale centrale più profondo, l’acqua scorre più velocemente aumentando i rischi di esondazione in caso di alluvione.

Nonostante i gravi deterioramenti ambientali e la possibilità che tali azioni vadano a incidere pericolosamente sull’incolumità delle popolazioni rivierasche, i furti di sabbia dall’alveo del Po non sono cessati nel tempo, alimentati da un mercato sempre ingordo di un materiale di valore che è necessario soprattutto alla grande industria del cemento.
Seppur con grande lentezza, anche la macchina giudiziaria sta però facendo il suo corso.

È necessario tenere alta l’attenzione sulla vicenda – dichiara Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna – anche per il valore simbolico che questo processo ha assunto nella battaglia che Legambiente combatte da anni per riportare le rive del Grande Fiume ad uno stato di legalità. Tutti i beni comuni, compresa la sabbia del nostro Po, sono da tutelare e conservare per le generazioni future, e non possono essere sfruttati, oltretutto illegalmente, per pochi interessi privati”.