Legambiente sull’approvazione del progetto di riconversione della centrale di Russi
Un progetto sbagliato dal punto di vista energetico e in cui i criteri di sostenibilità sono stati messi all’ultimo posto
In questi giorni la commissione VIA regionale ha espresso parere favorevole al progetto di riconversione dello zuccherificio di Russi in una centrale a Biomasse da 30 MW, contro cui già si era espressa una parte importante del territorio (raccolte circa 10.000 firme di cittadini).
Su questa scelta pesavano vari tipi di valutazione, tra cui la salvaguardia dei posti di lavoro ( 140-180 secondo i sindacati) l’ottenimento di finanziamenti europei per la riconversione degli zuccherifici, la creazione di un indotto sul mondo agricolo. Occorreva quindi giungere ad una soluzione ben ponderata. Purtroppo la soluzione progettuale individuata dai proponenti e validata dalle istituzioni, è quella più scontata, da cui è esclusa completamente un giudizio sull’ottimizzazione energetica, sulla sostenibilità ambientale e sull’inserimento nel territorio.
I principali problemi dell’impianto sono, paradossalmente, proprio quelli legati alla corretta programmazione energetica. Le esperienze virtuose di utilizzo delle biomasse a fini energetici prevedono l’utilizzo di filiere corte e lo sfruttamento massimo dell’energia del legno: esattamente il contrario di quanto succederà a Russi.
La grande taglia dell’impianto- 30 MW elettrici- richiederà di drenare materiale da un territorio molto ampio con un incidenza significativa del trasporto (in termini di emissioni e di consumi di combustibile), infatti la centrale richiederà una quantità di combustibile pari a 288.000 t/anno di biomasse da bruciare per produrre 100 MW termici necessari a ottenere una potenza elettrica pari a 30 MW. Una tale quantità di biomassa sembra non esistere in provincia di Ravenna; Da studi della Provincia infatti risulterebbe che, se tutto il terreno potenzialmente disponibile per le colture energetiche fosse convertito a pioppo, la quantità disponibile non arriverebbe nemmeno a 100.000 t/anno, ciò significa quindi che il bacino di provenienza del materiale sarà necessariamente molto più ambio dei 70 km di raggio previsti e che sono elevate le possibilità di poter utilizzare i rifiuti come combustibile.
Inoltre la mancanza di recupero di calore nel progetto previsto significa avere rendimenti bassissimi, in grado di sfruttare meno del 30% del contenuto energetico. Le migliori esperienze di produzione di energia elettrica da biomasse prevedono il recupero del calore dei fumi per riscaldare utenze vicine, sia civili che industriali, permettendo di spegnere altre fonti di emissioni. E’ ciò che accade nelle esperienze delle valli alpine ed è auspicato anche dalle direttive europee (la 38/2009 prevede rendimenti minimi del 70%).
Al contrario si ipotizza l’impegno di un territorio di 7-9000 ettari a produrre biomasse, senza peraltro accordi definiti con gli agricoltori, senza considerare la “perdita energetica” dovuta all’utilizzo dei macchinari agricoli, dei fertilizzanti e dei mezzi di trasporto.
Rimangono quindi aperti molti dubbi soprattutto sull’origine dei materiali, sia per distanza che per tipologia. Il bacino agricolo circostante saprà fornire il combustibile necessario? (molti dati e analisi dicono di no). Che effetto avrà questo sulle produzioni alimentari tradizionali, ammesso che gli agricoltori locali decidano tutti di convertire le loro colture?
Per questo riteniamo necessario che l’attuale progetto venga bloccato e si rivisiti il progetto prendendo in considerazione soluzioni migliorative.